Il fascino è indubbio. Quello di poter cambiare il profilo di una città, di dare colore dove non c’è e toglierlo dove disturba. Insomma quando un ragazzo pensa di diventare architetto sogna di lasciare un’impronta, se non per sempre, per un bel po’ di anni, nel posto dove ha vissuto e lavorato. Ma tra il sogno e la realtà c’è la professione fatta di precariato, di stipeE’ solo un’estrema sintesi della poderosa indagine che l’Ordine degli Architetti ha commissionato proprio per conoscere quali sono le condizioni dei giovani architetti torinesi, che sono ben 6800. I professionisti intervistati sono under 40, l’indagine è stata curata da Network 4t e coordinata da Luca Davico e segue quella del ‘97 che già dava segnali poco incoraggianti. Ma la «bolla» speculativa sull’edilizia non aveva ancora portato al disastro di oggi, ed evidenziato un’anomalia tutta italiana: c’è un architetto ogni 400 abitanti «ma la sensazione è che le persone alla fine si rivolgano a una pletora di altre figure professionali meno qualificate, perché l’architetto è visto come troppo costoso».
Per Riccardo Bedrone presidente dell’Ordine di Torino siamo «un Paese di santi, navigatori e architetti». «Ci sono troppi studenti in facoltà - dice ancora senza metafore -. La prima grande esplosione ci fu negli Anni Settanta, poi il disastro l’ha compiuto la riforma del tre più due, che non ha funzionato, solo l’uno per cento si ferma ai tre anni. Le lauree magistrali sono state specializzate, ma solo quella in architettura ha sbocchi professionali completi. La riforma non è servita».
Comunque tutti gli intervistati, il campione era di 374 - rappresentativo - cioè scelti con cura e iscritti all’Ordine, non tornerebbe indietro. «Si deve iniziare con paletti all’università - insiste Bedrone -, tutti stimano i bocconiani, ma ogni anno alla Bocconi se ne laureano poche decine». Tornando alle cifre: nove su dieci lavorano a tempo pieno, più di 30 ore settimanali, oltre un terzo ha un incarico di lavoro più pesante fino a 45 ore. Nell’edilizia residenziale lavora la maggior parte degli intervistati, il 38,5%. «E accade spesso che architetti che si sono laureati bene finiscono a fare certificazione energetica - dice Bedrone - . Che senso ha che ci si prepari a progettare? Sono delusi da ciò che gli offre la vita a 40 anni: 1500 euro al mese, un precariato continuo».
Qualificare la professione è responsabilità dell’Ordine, lo dice Rocco Curto, Preside II Facoltà di Architettura. «Abbiamo già messo un limite alle iscrizioni che si sono ridotte da 750 a seicento. Ma la soluzione non è ridurre gli studenti altrimenti daremmo ragione alla Gelmini: poche risorse, poco lavoro, chiudiamo le università». Per Bedrone il mercato del lavoro non può assorbire più di 150 architetti l’anno. «Il problema è anche l’accesso alla pubblica amministrazione e la qualificazione della professione che tocca all’Ordine - ribatte Curto -. L’Ordine deve investire anche nella comunicazione e nella formazione perenne».
«Comunicazione» anche per frenare la cannibalizzazione da parte di altre professioni - qui sono d’accordo Bedrone e Curto sulle troppe «infiltrazioni» dei geometri - far comprendere alle persone che il progetto dell’architetto «se da una parte è un costo - dice il rettore - dall’altra ti porta a risparmiare su molti aspetti dell’edilizia». Ma l’edilizia non può essere l’unico sbocco secondo il docente, si deve pensare all’impegno dei giovani per esempio per il recupero dei beni architettonici. E infine «dobbiamo trovare soluzioni - chiude Bedrone - per non creare più architetti che costruiscono e architetti di carta». E’ solo un’estrema sintesi della poderosa indagine che l’Ordine degli Architetti ha commissionato proprio per conoscere quali sono le condizioni dei giovani architetti torinesi, che sono ben 6800. I professionisti intervistati sono under 40, l’indagine è stata curata da Network 4t e coordinata da Luca Davico e segue quella del ‘97 che già dava segnali poco incoraggianti. Ma la «bolla» speculativa sull’edilizia non aveva ancora portato al disastro di oggi, ed evidenziato un’anomalia tutta italiana: c’è un architetto ogni 400 abitanti «ma la sensazione è che le persone alla fine si rivolgano a una pletora di altre figure professionali meno qualificate, perché l’architetto è visto come troppo costoso».
Per Riccardo Bedrone presidente dell’Ordine di Torino siamo «un Paese di santi, navigatori e architetti». «Ci sono troppi studenti in facoltà - dice ancora senza metafore -. La prima grande esplosione ci fu negli Anni Settanta, poi il disastro l’ha compiuto la riforma del tre più due, che non ha funzionato, solo l’uno per cento si ferma ai tre anni. Le lauree magistrali sono state specializzate, ma solo quella in architettura ha sbocchi professionali completi. La riforma non è servita».
Comunque tutti gli intervistati, il campione era di 374 - rappresentativo - cioè scelti con cura e iscritti all’Ordine, non tornerebbe indietro. «Si deve iniziare con paletti all’università - insiste Bedrone -, tutti stimano i bocconiani, ma ogni anno alla Bocconi se ne laureano poche decine». Tornando alle cifre: nove su dieci lavorano a tempo pieno, più di 30 ore settimanali, oltre un terzo ha un incarico di lavoro più pesante fino a 45 ore. Nell’edilizia residenziale lavora la maggior parte degli intervistati, il 38,5%. «E accade spesso che architetti che si sono laureati bene finiscono a fare certificazione energetica - dice Bedrone - . Che senso ha che ci si prepari a progettare? Sono delusi da ciò che gli offre la vita a 40 anni: 1500 euro al mese, un precariato continuo».
Qualificare la professione è responsabilità dell’Ordine, lo dice Rocco Curto, Preside II Facoltà di Architettura. «Abbiamo già messo un limite alle iscrizioni che si sono ridotte da 750 a seicento. Ma la soluzione non è ridurre gli studenti altrimenti daremmo ragione alla Gelmini: poche risorse, poco lavoro, chiudiamo le università». Per Bedrone il mercato del lavoro non può assorbire più di 150 architetti l’anno. «Il problema è anche l’accesso alla pubblica amministrazione e la qualificazione della professione che tocca all’Ordine - ribatte Curto -. L’Ordine deve investire anche nella comunicazione e nella formazione perenne».
«Comunicazione» anche per frenare la cannibalizzazione da parte di altre professioni - qui sono d’accordo Bedrone e Curto sulle troppe «infiltrazioni» dei geometri - far comprendere alle persone che il progetto dell’architetto «se da una parte è un costo - dice il rettore - dall’altra ti porta a risparmiare su molti aspetti dell’edilizia». Ma l’edilizia non può essere l’unico sbocco secondo il docente, si deve pensare all’impegno dei giovani per esempio per il recupero dei beni architettonici. E infine «dobbiamo trovare soluzioni - chiude Bedrone - per non creare più architetti che costruiscono e architetti di carta». ndi al limite della decenza, di delusioni e amarezze.
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