1 apr 2009

PIANO CASA ? PERCHE' NO ANCHE "COHOUSING"




Il cohousing nasce e si diffonde in Danimarca a cavallo tra anni ’60 e ‘70 per iniziativa dell’architetto danese Jan Gudmand-Høyer , che nel 1964 raccoglie un primo gruppo di amici con i quali condivide l’idea del cohousing. Le coresidenze sono realizzate sia ex-novo sia in edifici/strutture industriali recuperate.

L' intuizione e' che in società dominate dal lavoro e dalla coesistenza forzata nelle grandi città sia necessario ricreare il clima e i “servizi” offerti dal vecchio villaggio. Il successo del cohousing in Danimarca è testimoniato dalla realizzazione di ben ventidue insediamenti tra il 1970 e il 1982. Le esperienze di cohousing si sono rapidamente diffuse nel resto del mondo, dal Canada agli Stati Uniti (particolarmente in California) dove oggi si trovano importanti modelli di riferimento, tra cui quello di Vancouver e lo Swan's Market di Oakland. Sono questi solo alcuni degli esempi di cohousing che oggi sono fonte d’ispirazione e riferimento anche per l’Italia.L’idea di promuovere nel nostro Paese un progetto di trasformazione sociale intorno al cohousing nasce dall’incontrodi due realtà: l’agenzia per l’innovazione sociale Innosense Partnership e il Dipartimento Indaco del Politecnico di Milano.Tipicamente abitati da 30-40 famiglie che si sono scelte (partecipazione elettiva) e che hanno deciso insieme cosa condividere e come gestire gli spazi condivisi (progettazione partecipata), gli insediamenti in cohousing vedono sempre la compresenza di spazi abitativi individuali e di spazi comuni (fino al 20-25% del totale della volumetria costruita).
Interessanti sono i servizi più frequentemente condivisi:
- Uno spazio multifunzionale comune (spesso dotato di cucine)-Una play-room per i bambini (che spesso ospita un micronido)- Una concierge-centro servizi (paga le bollette, riceve la posta, fa prenotazioni)- Un ampio spazio verde (spesso con orti o serre)- Una hobby-room attrezzata- Un servizio di car-sharing o bike-sharing- Una lavanderia (automatica o presidiata con outsourcing esterno)- Uno spazio per la raccolta e il compostaggio dei rifiuti- Un magazzino per le scorte dell’eventuale gruppo d’acquisto- Forniture energetiche alternative o cogestite.
Le esperienze più avanzate includono:
Uno spazio per il telelavoro, un magazzino o dispensa (per gruppi di acquisto), un’infermeria.
Le 10 caratteristiche più comuni del cohousing:
1. PROGETTAZIONE PARTECIPATA
2. VICINATO ELETTIVO
3. COMUNITÀ NON IDEOLOGICHE
4. GESTIONE LOCALE
5. STRUTTURA NON GERARCHICA
6. SICUREZZA
7. DESIGN E SPAZI PER LA SOCIALITÀ
8. SERVIZI A VALORE AGGIUNTO
9. PRIVACY
10. BENEFICI ECONOMICI

9 commenti:

Pietro Pagliardini ha detto...

Non conoscevo il cohousing prima di questo post. Mi viene da pensare ad una nuova utopia simile a quelle dell'800 ma in salsa "capitalista".
A me sembra che il miglior cohousing cui si possa aspirare sia una città vera e non un condominio esclusivo. Per carità, se uno vuol fare il cohousing se lo può fare tranquillamente e non ci vedo niente di male o di strano e a me personalmente non interessa proprio niente ma che un architetto lo proponga questo sì mi pare strano. Se poi si pensa addirittura che debba essere lo stato a proporlo, almeno nelle forme che avete descritto, questa poi è proprio grossa. I kibbutz credo non li facciano più nemmeno ad Israele.

saluti
Pietro

Giovanni D'Amico ha detto...

Pietro, perchè trovi strano che un architetto possa proporre oggi un esperimento simile alle cosidette utopie ottocentesche.
Se funzionano, come sembra, sono esportabili, non trovi?
Qui semplicemente si propone uno stile di vita, solo qualche anno fa in Emilia Romagna ci sono stati esperimenti di autocostruzione di piccoli villaggi. Non è una cosa folle.

Walter Quattrocchi ha detto...

io ci vedo una buona opportunita' anche per l'edilizia residenziale sociale e provare a evitare i fallimenti in termini di qualita' della vita degli esperimenti urbanistici , che iniziarono con l'Unité d'Habitation di Marseille di Le Corbousier del 1946

Pietro Pagliardini ha detto...

Giovanni, non cambiare le carte in tavola: una cosa è l'autocostruzione, che è una forma di mutuo e reciproco aiuto nel costruirsi da soli la propria casa, con ciò risparmiando denari e riuscire ad avere la propria casa in proprietà. Si mette in sostanza il lavoro in cambio di una quota di soldi.
E', in sostanza, una forma di cooperazione, certamente con alti valori simbolici legati appunto alla mutualità (come una volta accadeva nelle campagne in cui i contadini si spostavano da un podere all'altro per la raccolta).
Nel co-housing, così come lo hai raccontato nel post, si parla di una forma di organizzazione sociale, una specie di società nella società e questa si chiama utopia e le utopie sono (fortunatamente) tutte fallite.
Le comunità chiuse non mi piacciono, sono alla lunga coercitive della libertà individuale, sono un'astrazione pericolosa. Se non so tratta di utopia è solo una moda tra le tante che questa società dei consumi ci propina.
Ti ripeto che non ho niente in contrario a che qualcuno le faccia ma se devo esprimere un giudizio è negativo perché non è un modello di società da proporre o almeno è non significativo.
Che poi in determinate circostanze, ad esempio nei paesi del terzo mondo, siano un modo per crescere, ciò è anche possibile e auspicabile, ma nelle nostre società sento puzza di forte ideologia.
Cerchiamo di migliorare la nostra di società senza tornare a fantasiose ipotesi che, sviluppatesi nell'800, hanno poi portato ai disastri (storici dico,. non architettonici)del '900. Pensavo, sbagliando, che questo secolo si fosse immunizzato per un tempo più lungo da queste fughe...indietro.
Non vi azzardate più a darmi del "passatista" dopo questo post, perché davvero mi sento avanguardia.
Saluti
Pietro

Walter Quattrocchi ha detto...

io farei anche una riflessione sul fenomeno a crescita esponenziale dei social network e in generale degli strumenti di comunicazione che si sono allargati dal contatto one to one (es.sms)alle conference skype,msn ,dove si nota questo continuo desiderio forte di community e specie nelle giovani generazioni , futura domanda abitativa

Unknown ha detto...

Ma esistono finanziamenti europei per la costruzione di edifici cohousing?sono molto interessata...

Walter Quattrocchi ha detto...

per informazioni su possibili fondi europei segnalo di contattare o il sito dedicato http://cohousing.it/
oppure
http://www.obiettivoeuropa.it/
oppure
europedirectcatania@gmail.com
(Antenna Catania Europe Direct
Comune di Catania - Direzione Politiche Comunitarie
Via Tempio, 62
95100 Catania
Tel.: 095 7424629)

PEJA ha detto...

È una bella iniziativa! Interessante anche perchè va a recuperare magari alcune strutture sottratte al territorio, ed in Italia ce ne sono a bizzeffe!
Pensate se invece che l'idiozia di Silvietto, non si fosse proposto un piano di recupero di edilizia ex industriale non archeologica?
PS: Pietro, qualsiasi attività se ha a che fare con l'architettura è a sfondo capitalista. Sono daccordo con te: meglio una integrazione nella città, ma mi pare di aver capito che le due cose non vanno contro di loro.
PPS: In Israele i Kibbutz li fanno eccome!

v_spinosa ha detto...

non conoscevo il cohousing, è sicuramente un'utopia, anche se in realta in alcune sue forme si è già concretizzato. cmq secondo me è solo un "sistema" (magari buono) ma non "un'idea di città"