“L’utilità dell’Ace – ha spiegato un giovane professionista catanese- è molteplice e può sinteticamente riassumersi come segue: agevolazioni urbanistiche, maggiori volumi e minori costi di concessione come attestato dal Piano Casa/2009, diritto alle detrazioni Irpef del 55% e maggior valore del fabbricato”. Le linee guida nazionali - DM 26/06/2009, che recepiscono la Direttiva europea 2002/91/CE, definiscono un unico sistema di certificazione energetica degli edifici. “Le linee guida non stabiliscono alcunché in relazione alla definizione dei soggetti certificatori e in attesa di chiarimenti, nelle regioni che non hanno legiferato in materia, si ritiene debba essere applicata la normativa nazionale. Le legislative regionali antecedenti le linee guida hanno aperto un ventaglio di possibilità, perché, per esempio, in Lombardia, la legge aveva istituito un elenco regionale dei certificatori”.
Proprio l’elenco regionale dei certificatori appare un punto cardine essenziale, che dovrebbe essere sviluppato adeguatamente nel dibattito energetico isolano. “Un organismo di accreditamento regionale che segua le direttive nazionali – ha proseguito l’ingegnere catanese – si occuperà dell’accreditamento dei soggetti certificatori, dell’acquisizione dei dati mediante gli attestati, della realizzazione di un catasto energetico degli edifici ed offrirà consulenza tecnico/scientifica agli enti locali e ai professionisti”. Puntare sull’edilizia sostenibile è un investimento che fa bene all’ambiente ma anche alle tasche dei siciliani.
“Considerando il fabbisogno di energia elettrica di una persona per produrre acqua calda sanitaria (ACS) con uno scaldabagno elettrico, pari a 1,93 kWh/giorno, significa che quotidianamente si immettono 1,35 kg di C02/pro capite, consumando 4,93 kWh/primari. Tale valore scende sensibilmente nel caso di produzione di ACS da una caldaia a metano (0,44 kg di C02/pro capite) e si abbatte totalmente se producessimo ACS solo con i collettori solari”. Un sistema ibrido, metano+solare o elettrico+solare, porta rispettivamente, spiega ancora Grasso, ad una riduzione di C02 emessa, dell’80% e del 60% rispetto all’utilizzo del solo scaldabagno elettrico e al conseguente abbattimento dei consumi e costi annessi.
“Il fabbisogno di energia per il riscaldamento di un edificio viene valutato in kWh/m²anno, tenendo conto che 1 litro di gasolio/m²anno equivale a 10kWh/m²anno ed immette nell’atmosfera 2,65 Kg di CO2; se un vecchio edificio (metà anni ‘70) presenta un fabbisogno per il riscaldamento intorno ai 180 kWh/m²anno, equivalenti a 18 litri di gasolio/m², è immediato il confronto con una casa di recente costruzione che consuma solo 12 litri di gasolio/m², fino ad arrivare alle cosiddette case da 3 litri, con un consumo inferiore ai 30 kWh/m²anno”. Ripartire da questa sensibilità per dare impulso al settore edilizio.