Girovagando su internet mi sono imbattuto in un interessante, anche se un po’ datato, articolo. Il pezzo, che riporto integralmente di seguito a firma di Leonardo Servadio, parla di un divertente sondaggio commissionato nel 2003 dall’Ordine degli Architetti della provincia di Torino. Il sondaggio ha lo scopo di far luce sulla percezione che la gente comune ha del ruolo dell’Architetto al giorno d’oggi.
Pur essendo un sondaggio (del quale non sono a conoscenza dei dati diretti e quindi non posso sapere quanto vasto sia il campione esaminato, il ceto sociale degli intervistati, etc…), che quindi ha poco di scientifico, i risultati ottenuti sono di indubbio interesse ed invitano ad alcune riflessioni.
Dal sondaggio emerge che l’Architetto è una figura estrosa, artistica, molto legata al passato, quindi adatta per lo più ad attività di Restauro. E' un professionista che non ha molto a che fare con l’Architettura o con il costruire del presente, tanto è vero che non viene tenuto granché in considerazione neppure per commissionargli qualche lavoretto, anche quando è un parente o un conoscente.
L’Architetto è roba da chiese e castelli ed, in ogni caso, non è in grado di far stare in piedi le cose che immagina. Lui è un puro creativo, come può esserlo un pittore o uno scultore (con buona pace di Vitruvio, all’Architetto non interessano firmitas ed utilitas). Quindi, se si deve fare qualcosa di concreto e che stia in piedi da solo, conviene chiamare l’Ingegnere o, ancora meglio, il Geometra, così si risparmia pure.
A seguire l'articolo originale.
L'architetto, questo sconosciuto
Avvenire, 20/11/2003
di Leonardo Servadio
Tra le tante glorie che han dato lustro alla cultura italiana nel mondo, non mancano quelle architettoniche. Dal Cremlino moscovita al Palazzo Reale madrileno, gli architetti italiani si sono fatti apprezzare ovunque. E qui da noi è diffusa la coscienza dell'importanza delle città d'arte, il cui pregio attira ondate di turisti. Vi sono opere per le quali, accanto agli architetti, si è mobilitato il popolo: basti pensare al Duomo milanese o al complesso della cattedrale fiorentina di S. Maria del Fiore. Ma stiamo parlando del passato. Oggi il rapporto tra gli italiani e l'architettura sembra assai smorzato. Lo testimonia un'inchiesta commissionata dall'Ordine degli Architetti di Torino.
Lo scopo è indicato dalla curatrice, Barbara Loera: «Conoscere le percezioni e le convinzioni - anche imprecise - dell'utenza reale o potenziale, facilita l'incontro di domanda e offerta di architettura ed eventualmente permette di formulare interventi tesi a sensibilizzare e informare l'opinione pubblica…».
In altri termini: il dialogo tra i professionisti e i committenti richiede un certo grado di conoscenza reciproca. È importante per gli architetti sapere che cosa pensano gli italiani della loro opera. Su questa base potranno cercare di formulare strategie per migliorare il grado di conoscenza, e forse anche per orientare la loro professione.
Non è un problema piccolo: all'epoca di Filippo Juvarra gli architetti erano probabilmente poche decine su tutto il territorio nazionale. Oggi le facoltà di architettura, ormai diffuse ovunque nel Paese, sfornano annualmente migliaia di laureati. Basti pensare che, per restare nell'ambito dell'inchiesta in questione, il 76,3% degli intervistati ha affermato di non essersi mai rivolto a un architetto nemmeno per un preventivo, e tra questi il 27,7% ha almeno un architetto in famiglia o tra i conoscenti.
Come mai? Non ne abbiamo bisogno? O non ci fidiamo di loro? O semplicemente qui da noi il numero di architetti è eccessivo? In Italia circolano più architetti che negli Stati Uniti: eppure lì si costruisce molto più che nel nostro Paese. Qui gli architetti fanno di tutto: scenografi e costumisti, designer e paesaggisti, conservatori, museografi, arredatori, insegnanti di storia dell'arte o disegno, amministratori di condominio... Qualcuno fa il progettista di nuovi edifici e il restauratore di quelli antichi. Forse è anche per questo che, come mostra l'inchiesta, quando gli italiani pensano all'architettura, vengono loro in mente anzitutto le chiese e i castelli, gli anfiteatri e i palazzi d'epoca.
Il passato, insomma, non il presente. Per l'oggi gli italiani guardano agli architetti come a figure volte innanzitutto a restaurare il patrimonio antico (35% delle risposte) ed eventualmente a pianificare le aree urbane (19%). Solo il 18,5% li vede come figure orientate a costruire nuovi edifici abitativi e ancor meno (12,3%) li associa al progetto di edifici pubblici. L'architetto è considerato una persona creativa, capace di proporre soluzioni originali. Una specie di artista. Ma quando si tratta di costruire strutture di grandi dimensioni e legate a aspetti funzionali, la preferenza si dirige verso gli ingegneri.
Alla domanda «quale sia l'ambito di intervento professionale più adeguato per un architetto, un ingegnere o un geometra», circa l'80% preferisce l'architetto per progettare una chiesa o un teatro e una maggioranza lo preferisce anche per la villetta o il parco. Ma quando si tratta di progettare un condominio, una scuola, un ospedale, una fabbrica, un grattacielo o un ponte, la maggioranza preferisce un ingegnere.
Evidentemente l'architetto non è visto come qualcuno che sa «far stare in piedi» solidamente l'oggetto progettato. Ma probabilmente questa opinione è condivisa in buona parte dagli architetti stessi, visto che la stragrande maggioranza di loro si rivolge agli ingegneri per i calcoli delle strutture: cioè per l'ossatura portante degli edifici che progettano. In ogni caso, l'architetto di oggi è poco conosciuto. Solo il 27,7% ha letto un articolo di architettura e una percentuale leggermente maggiore ha seguito un programma televisivo sull'argomento, negli ultimi 12 mesi. E una percentuale quasi irrilevante di intervistati è in grado di dire a memoria il nome di un architetto contemporaneo famoso.
Per giunta gli architetti più noti sono stranieri: Le Corbusier, il cui nome è stato menzionato dal 2,7% degli intervistati, e Frank Lloyd Wright, menzionato dall'1,6%. I più conosciuti tra gli italiani sono Gio Ponti (1,3%) e Pier Luigi Nervi (0,8%). Ma quest'ultimo, per giunta, era ingegnere, non architetto. Sulle 1001 persone intervistate, solo 179 sono state in grado di citare qualcuno (nelle tabelle le percentuali sono riferite a questi 179 che sono stati in grado di rispondere, per cui le cifre sono maggiori). Insomma, c'è ancora molto da fare perché l'architettura entri nel circuito di conoscenze degli italiani.
2 commenti:
Il problema e che noi architetti siamo una categoria che si fa del male da sola, mentre noi architetti facciamo a gara a chi è più bravo criticando i colleghi, la professione di architetto e di conseguenza l’Architettura è stata tagliata fuori dalla società. Nel tempo il valore “culturale”, (l’art. 1 della legge francese sull’architettura dice: “l’Architettura è una espressione della cultura), dell’Architettura si è definitivamente dissolto nell’immaginario collettivo con la conseguente inconsapevole distruzione delle nostre città.
Condivido la tua analisi, la critica degli altri è lo sport nazionale, ma lo sfacelo delle città credo che non è solo colpa degli architetti.
Posta un commento